venerdì 11 gennaio 2019

#6

Quando hai un@ bimb@ prematur@ può capitarti (non so se sia la prassi, io qua mi limito a parlare di me, delle mie esperienze e di quello che mi capita) di dover seguire un follow up.
Noi lo facciamo nell'ospedale in cui i gemelli sono nati e dove sono stati per quaranta lunghissimi infiniti giorni ospiti della TIN.


La TIN è un posto strano, spesso senti di odiarla, ma sai benissimo che in quel momento quello è il posto migliore per i tuoi figli. Sai che lì saranno accuditi e curati nel miglior modo possibile. 

Noi in TIN siamo "stati bene", eravamo sereni, tranquilli (come lo si può essere con due cosetti di 1695 e 1240 kg in incubatrice).

Il brutto è iniziato dopo.

Siamo stati dimessi forse troppo frettolosamente (uno dei gemelli non era arrivato ai 2 kg che di solito si aspettano per la dimissione), non ci è stato spiegato bene cosa sarebbe successo dopo o come calcolare le dosi del latte e, ma questo lo abbiamo scoperto poi, le dimensioni dei bimbi erano sbagliate.

I miei primi problemi col follow up sono iniziati con la prima visita auxologica per il latte: secondo la neonatologa stavo nutrendo troppo il gemello più piccolo, nonostante io seguissi attentamente quanto riportato nella tabella rilasciatami al momendo della dimissione.

"Sta distruggendo i reni di suo figlio, signora."
"Ma il foglio di dimissioni dice che devo fare così."
"E chi glielo avrebbe dato questo foglio?"
"Il medico che ci ha dimessi, il dott. XXX."
"Eh, capirai, XXX!"

"Non è cresciuto per niente, signora, c'è qualcosa che non va."
"Ma la tutina che porta oggi fino al mese scorso gli andava enorme."
"Ah, ma si sono sbagliati a prendere l'altezza. Io vorrei capire chi è stato!"
Questo è un assaggio del mio primo dialogo con la dottoressa che "della sua salute mentale non mi importa niente".

Le valutazioni monofunzionali non sono andate meglio.
Ogni volta ai miei figli veniva trovato un problema: non apre le mani, non muove le braccia, svirgola, è irritabile (grazie al cazzo che è irritabile: essere smanacciati da un'estranea in pieno inverno nell'ora in cui di solito stai dormendo non credo sia piacevole per nessuno).

Il mese scorso l'assistente della fisioterapista dell'ambulatorio, controllando uno dei bimbi, ci dice che il tono muscolare era ancora un po' "flaccido" e che si sarebbe dovuto vedere se (cito testualmente, sono parole che non potrò mai dimenticare) questo sarebbe stato "compatibile con la posizione eretta".
"Scusi, mi sta dicendo che mio figlio non si alzerà?"
"No, non ho detto questo."
"Mi perdoni, ma se mi dice che dobbiamo vedere se questo tono muscolare è compatibile con la posizione eretta io capisco che potrebbe non esserlo e che quindi potrebbe non alzarsi e camminare."
"No, nel senso che magari ci vorrà più tempo."

Arrivata a casa ho chiamato la fisioterapista che ci segue, che ha guardato mio figlio e ha detto "tempo una settimana e questo gattona. Dategli tempo, è un prematuro."
Due giorni dopo il bambino gattonava.

Ieri sono andata all'ennesima visita per la valutazione monofunzionale, da sola, ché mio marito sta male. 
Di solito evito di parlare con queste due stronze se non è strettamente necessario, mi limito a voltarmi verso di lui, perché rischierei di mandarle affanculo e insomma, pare brutto.
Ma ieri ero sola.

Comincia la visita, la dottoressa non si è nemmeno premurata di aprire la cartella clinica per vedere di chi si trattava e ci ha accolti con "un maschio e una femmina, vero?" 
E questo secondo me offre la cifra del tutto. Nemmeno un minuto per vedere chi sarebbe stato il prossimo paziente.

Comunque, inizia la visita e arrivano i soliti problemi.
E un braccio lo muove meno, e flette troppo le dita della mano, e ci sta un'asimmetria, e il piedino quando viene messo in piedi è poggiato storto.

"Ma voi fate qualcosa, vi segue qualcuno?"
"Sì, una fisioterapista viene a casa (e limortaccitua due mesi fa dicevi di conoscerla benissimo grande amica tua mammamia che gran professionista che culo che ce l'avete)"
"E cosa vi dice?"

E io lì ho iniziato.

Sono stata educatissima, ma ho detto (quasi) tutto.
Ho detto che né la nostra fisioterapista né il pediatra avevano mai riscontrato i mille problemi che ogni volta che vado lì sembrano avere i miei figli, che le braccia le stendono eccome, che uno gattona, che le mani le usano benissimo e che soprattutto ogni volta per me vederli è fonte di angoscia come poche altre cose al mondo. 
Gli ho detto che ad ogni visita hanno qualcosa da ridire sui miei figli, ma non sono mai capaci di spiegarmi quale sia il problema, quanto e se sia grave e soprattutto non sanno dirmi quando i miei figli sono prematuri e quando no.
"Io ho un problema enorme con voi. Non vi capisco."

Dalle loro facce ho intuito che non deve essergli capitato spesso di sentirsi dare, seppure in modo educato (e in un italiano impeccabile, giuro) degli incompetenti (e -velatamente- degli stronzi).

Hanno cambiato atteggiamento, era tutto un bravamamma che bei bambini, oh, come sei bello, uh che bei calzini.

"Forse non ci spieghiamo bene... ma sa qui, lavoriamo con la lente... per vedere tutto... ad esempio, vede? se lo prendiamo in braccio così questo braccio è flesso, vede?"
"Ok, e questo cosa significa? Questa asimmetria che vuol dire?"
"Eh, io questo non glielo so dire."

IO
QUESTO
NON
GLIELO
SO
DIRE

Ho temuto di esplodere.

Fortunatamente ho potuto rivestire mio figlio, loro sono usciti un attimo e quando sono rientrati mi hanno fatto il più bel regalo che potessi avere: nessun appuntamento programmato.

La fortuna di PoraMamma è che ha un carattere di merda, che si incazza facilmente, perché se le stesse cose fossero state dette ad una donna più fragile, magari con una bella depressione post partum, forse staremmo qui a raccontare un'altra storia.

Dobbiamo parlare, mamme, far sentire le nostre voci.
Quando ci troviamo davanti gente del genere dobbiamo aprire la bocca ed avere fiducia in noi stesse.
Chiedere delucidazioni, pretendere spiegazioni: noi abbiamo il diritto (e in qualche modo anche il dovere) di capire. 
E loro, che ci seguono in un percorso tanto delicato devono rispondere a tutte le nostre domande.

E soprattutto, tenerci qualcosa per quando ci diranno che il follow up è finito e finalmente potremmo mandarli tutti affanculo.



giovedì 20 dicembre 2018

#5

Ieri PoraMamma ha raccontato un pezzetto della sua storia di madre.
Molte delle sue amiche hanno raccontato le loro esperienze.
Incredibile come siano tutte così simili. 
Molte di noi si sono trovate davanti medici e infermieri incapaci di capire il nostro disagio, desiderosi solo di mandarci via in fretta, giudicanti, spesso arroganti e completamente privi e prive di empatia.

"Non sei capace"
"Non sei in villeggiatura"
"La bambina non cresce, ma la fa mangiare?"
"Tutte le donne hanno il latte"
"Su, su, ci sono passate tutte"

Anche questa è violenza. 
Una violenza subdola e infame su una donna che sta vivendo un momento difficile, particolare, a volte spaventoso e che spesso teme che tutto sarà solo sulle sue spalle, che non riavrà mai la sua vita, che dovrà abbandonare i suoi interessi, che dovrà negare i propri desideri.

Una violenza troppe volte agita da chi invece dovrebbe aiutarci, indirizzarci, consigliarci e supportarci.

È facile, a tragedia avvenuta, parlare di depressione post-partum. 
Ma prima? Perché prima non veniamo ascoltate? Perché è così difficile per una donna chiedere aiuto? E soprattutto, perché così spesso quelle richieste di aiuto vengono ignorate, quasi fossero capricci di una che non aveva capito bene quanto sarebbe stato faticoso?

La società ci vuole madri perfette, capaci di conciliare lavoro, casa, prole.
Madri sempre in secondo piano, sempre pronte a sacrificarci per i nostri figli e figlie.
E quando non ci riusciamo, quando diamo segni di cedimento, allora quella stessa società che ci ha raccontato la bellezza di essere madri dal giorno in cui ci è stata regalata la prima bambola, la sola condizione che davvero ci appartiene in quanto donne, ci lascia sole.

Chiudono i consultori, gli ambulatori, i centri di ascolto. 
E le donne sono lasciate sole con le loro paure, le loro ansie, le loro difficoltà. 
Le più fortunate di noi hanno accanto compagni e compagne, mariti e mogli, amiche e amici, la famigila. 
Alcune di noi sono capaci di chiedere aiuto e hanno la fortuna di essere ascoltate. Io ho avuto questa fortuna.
Altre no.

E poi tutt* a piangere leggendo di una tragedia come quella di Roma. E a giudicare, maledire, insultare una madre che "se era un animo così fragile allora non avrebbe dovuto fare figli", come recita uno dei tanti commenti di merda letti oggi su Twitter.

Sono devastata dal dolore per quella donna.

#4

Una donna, mamma di due gemelle,  si è gettata nel Tevere. Forse con le sue bambine, le stanno cercando.

Non oso immaginare il dolore di questa donna. Penso alla solitudine, all'angoscia e alla disperazione che possono prendere ciascuna di noi e per lei provo solo un'enorme compassione. Partecipo del suo dolore, lo sento anche mio.
Lo so quanto ci si possa sentire inadeguate, non capaci, non abbastanza.

Alla prima visita auxologica la neonatologa con la quale disgraziatamente devo seguire il follow up per i miei figli, alle mie parole sulle difficoltà che stavo incontrando nella gestione in solitaria dei gemelli rispose che avrei dovuto allattarli al seno e a richiesta.
Le dissi che non ero in grado, che sarei impazzita, che non ce la facevo. Rispose: "della sua salute mentale non mi interessa. Non ha una madre o una sorella che la aiutano?"
"Mia madre è morta e sono figlia unica."
"E vabbè."

Fortunatamente non sono incline alla depressione.

Ma ho pianto appena arrivata a casa e mi sono sentita la peggiore delle madri.

Penso a quella donna e mi sale una rabbia indicibile.

E il primo pensiero quando ho letto che le bimbe sarebbero state mesi in TIN è stato "speriamo che almeno non abbia incontrato anche lei quella stronza maledetta."

mercoledì 19 dicembre 2018

#3

PoraMamma ieri un anno fa ha saputo dalla flussimetria che c'era uno "scarso accrescimento nel secondo gemello". 
Ora, non si ricorda cosa c'era scritto sul referto, ma il medico che le ha fatto l'esame questo ha detto, aggiungendo che "po' esse tutto e po' esse niente. Io da medico te dico fatte ricovera', così controllano e in caso partorisci". 
E infatti è andata proprio così.
La sera successiva PoraMamma e marito sono andati a mangiare fuori, hanno scelto i nomi della prole e la mattina si sono presentati al Policlinico. Bla bla bla, ricovero, bla bla bla, cesareo, bla bla bla. 
Questa la racconto un'altra volta.

È che stamani mentre passeggiava col cane al freddo e al gelo, PoraMamma ha pensato con nostalgia alla sua amica. 
Erano proprio amiche, PoraMamma e la sua amica, si conoscevano da poco in verità, però si erano trovate subito. 
Andavano al mare, a vedere la Roma, a fare spanzate di sushi, al cinema, al pub e alle manifestazioni. Si scrivevano tutti i giorni e insomma, sì, erano proprio amiche.

Poi se l'è persa più o meno a settembre 2017, mentre lei stava a letto dopo l'amniocentesi (due buchi, signore, DUE. Immaginate la gioia e il gaudio).

PoraMamma aspetta che la sua amica la vada a trovare da allora, glielo aveva detto "passo a trovarti". Il loro ultimo messaggio è di febbraio scorso e l'ultima volta che si sono incontrate si sono fatte a mala pena "ciao ciao" con la mano, come due estranee.

PoraMamma ormai non è più triste per questa cosa, ora le gira proprio il culo.
Più che altro PoraMamma non riesce a capire cosa sia successso. 
Ci ha provato, eh. Sicuro deve aver fatto qualcosa, ma davvero non riesce a pensare a cosa. 

Niente, stamani PoraMamma c'ha il momento nostalgia.
Passerà appena riuscirà ad andare a fare colazione al bar.

 



lunedì 17 dicembre 2018

#2

Stamani la sveglia di PoraMamma è suonata alle 5.50.
Latte alla prole, lavaggio, vestizione, caffè, sigaretta, uscita col cane. 
Si è pure truccata. 
E però il motorino non è partito. PoraMamma l'ultima volta non si è fermata dal benzinaio perché pioveva. "La metto lunedì quando esco", si era detta.
PoraMamma ha smadonnato un (bel) po', poi è andata a passo svelto alla fermata del tram.
Ha preso quello, il treno e poi il bus e finalmente ha timbrato il cartellino alle 8.27. 
Nemmeno il tram pieno come un carro bestiame le ha rovinato la mattina.

PoraMamma oggi è tornata al lavoro dopo 380 giorni!

Mai, mai, mai, mai PoraMamma avrebbe pensato di entrare in ufficio leggera e sorridente.
Finalmente circondata di adulti!
Persone che vanno al bagno da sole e non devono essere pulite dopo aver fatto la cacca! Persone che mangiano senza bisogno di essere imboccate! E una collega ha pure portato uno dei castagnacci più buoni che PoraMamma abbia mangiato da anni, pareva quasi quello di Nonnetta, ma mancavano i pinoli.

PoraMamma è contenta.
PoraMamma non ha passato le poche ore in ufficio a pensare trepidante alla prole, ma si è goduta la giornata.
Al ritorno PoraMamma è andata dal benzinaio, ha riempito la tanica ed è andata a fare la spesa senza nemmeno un minimo accenno di senso di colpa.
PoraMamma ha molto bisogno di riprendersi un pezzettino di vita e non vede l'ora di riuscire ad andare in piscina, al cinema, allo stadio.

È tornata a casa, i bimbi erano ancora svegli, le hanno sorriso, hanno mandato baci e poi sono andati a dormire. 
E PoraMamma ha mangiato una pizza rossa buonissima, ha bevuto una Peroni e aspetta che si sveglino per stare con i figli, di certo molto più rilassata.

(Si è fatta fuori pure qualche Raffaello, ma quella è un'altra storia.)

venerdì 14 dicembre 2018

#1

Io evidentemente non ci sono portata.

Scherzando (?) dico che quello che mi manca è lo "spirito di sacrificio", la realtà è che non voglio e non sono in grado di fare la madre a tempo pieno. 
Ovvio che li amo, li ho voluti tanto e ho faticato per averli, ma davvero ci sono momenti (giorni, settimane) in cui un sonoro "chi cazzo me lo ha fatto fare" riecheggia potente nella mia testa.

Sono stanca.

È più di un anno che non lavoro, sono andata sotto ispettorato dieci giorni prima della maternità obbligatoria: andare in ufficio coi mezzi e la pancia di gemelli era diventato troppo faticoso. Speravo -ingenuotta ottimista- di godermi il mese che mancava a parto, passeggiate col cane, penniche sul divano, serie tv e libri. E invece pochi giorni dopo la flussimetria ha riscontrato uno scarso accrescimento in un gemello e quindi cesareo d'urgenza.

La faccio breve: quasi due mesi in TIN, con tutto quel bel portato di ansie e paure correlate.

Poi finalmente a casa.

Per i primi due mesi è andata anche benino. Ero sola, ma più o meno si gestivano. Poi si sono "svegliati" e io sono crollata. 

Da allora ci sta sempre qualcuno in casa per aiutarmi. Ed è una bella rottura non essere mai davvero sola.
Ci sono madri più brave di me, io sola non riesco a nutrirli, lavarli, uscire. 
Quindi quel poraccio di mio padre è costretto a fare il nonno a tempo pieno. 
Mia mamma è morta anni fa e mai come in questo periodo ho sentito la sua mancanza. So che lei avrebbe capito tutte 'ste paranoie e insicurezze che ho.

Le ultime settimane sono state un inferno, tra bronchiolite, aerosol e cacarella (dove due cosi così piccoli possano tenere tanta merda rimane un mistero).

Ho passato un'intensa notte a piangere seduta per terra in salotto mentre uno dei due (non) dormiva sul divano.

Ci sono momenti in cui mi sento profondamente inadeguata, incapace e pure un po' arida.
Non ho quel trasporto che ci si aspetta dalle madri, che nell'immaginario collettivo (sarà una cosa solo italiana o è comune in tutto il globo?) deve essere sempre pronta a sacrificarsi col sorriso per la prole, mettendo se stessa e tutto il resto in secondo piano.

Sono fatta così, è il mio carattere, non sono una dai grandi slanci affettivi, né un'amante delle smancerie e certe volte mi chiedo se questo lato del mio - pessimo - carattere sia compatibile con la maternità. 

Tempo fa lessi un articolo che raccontava di donne pentite di aver fatto figli e mi domando se potendo tornare indietro lo rifarei.

Magari ha ragione chi mi dice che è una fase, che andrà meglio con la crescita dei bambini e che si tratta "solo" di stringere "(ancora di più?!) i denti.

Mado, ci mancava un blog lamentoso di un madre inadeguata.